martedì 29 dicembre 2015

La birra artigianale italiana (non) esiste. Buoni propositi per il 2016...

Cosa serve oggi alla birra artigianale italiana?
Prima di tutto: essere riconosciuta. Forse non tutti lo sanno, ma la birra artigianale italiana non è ancora stata riconosciuta a livello legislativo. Sembra assurdo, però è così. Di fatto, gli artigiani italiani non possono scrivere sulle etichette delle proprie bottiglie “birra artigianale”, perché per la legge italiana la birra artigianale semplicemente non esiste. Qualcuno negli anni passati ci ha provato comunque – chi per ignoranza e chi per provocazione – ma è stato prontamente richiamato e in alcuni casi anche multato.
Nel 2016, sarà (forse) il caso di rimediare a questa assurdità. Fra le buone intenzioni per il nuovo anno ci mettiamo quindi l'aggiornamento delle nostre leggi (obsolete) sulla birra
Il disegno di legge 3119, che punta a semplificare il settore alimentare, può essere un ottimo veicolo per riconoscere le esigenze legittime di centinaia di micro-birrifici, oggi penalizzati dal fisco rispetto ai concorrenti europei e sottoposti a dubbie interpretazioni da parte della burocrazia pubblica.
Per questo motivo, lo scorso 16 dicembre si è tenuta al Ministero dell'Agricoltura un'audizione tra i rappresentanti delle maggiori associazioni birrarie nazionali (Unionbirrai, AssoBirra e CNA in prima linea) e quelli dei vari partiti.
Ne è uscito un quadro abbastanza variegato, con problematiche più o meno urgenti, ma quello che ho potuto constatare è stato il sincero interesse da parte dei politici (e anche una discreta preparazione sull'argomento da parte di alcuni di loro). Ed ecco quali sono le maggiori richieste che i birrifici artigianali reclamano a gran voce:

DIMINUZIONE DELLE ACCISE
L'accisa è un'imposta “di produzione” che grava solo su alcune tipologie di prodotti (benzina, luce, gas, alcolici, tabacchi...). Si tratta di un tributo “indiretto” perché il produttore - che è colui che fisicamente paga - gira indirettamente l'imposta al consumatore, aumentando il prezzo finale del prodotto. Rispetto al limitato costo di produzione, l'accisa condiziona fortemente il prezzo finale di vendita, aumentandolo di un'alta percentuale. Di fatto, quindi, colui che finanzia l'imposta è il consumatore, ma i danni di un'accisa alta si ripercuotono ovviamente anche sui produttori e sull'intero comparto in generale.
Per quanto riguarda gli alcolici, gli unici prodotti italiani soggetti al pagamento dell'accisa sono l'alcol etilico (che comunque vanta una delle accise più basse d'Europa) e la birra. Il vino e le altre bevande fermentate sono totalmente esenti dal pagamento di qualsivoglia tassa di produzione.
Di fatto, la birra risulta essere l'unica bevanda fermentata - nonché l'unica bevanda da pasto - a pagare accise.
Discriminazione? Direi di sì. Qualcuno potrebbe sentirsi in diritto di difendere il vino, dicendo che l'Italia è il paese vinicolo per (quantità ed) eccellenza ed è quindi giusto che sia fiscalmente privilegiato. Potrei anche essere d'accordo, se ciò non determinasse indirettamente un reiterato appesantimento fiscale nei confronti delle altre bevande concorrenti, in particolare per la birra (che è il maggior competitor del vino come bevanda da pasto a bassa gradazione alcolica). L'anomalia tutta italiana è facilmente visibile. Persino la Francia, che rappresenta il nostro più storico e stimato avversario, incassa delle accise sulla produzione del vino e questo permette di conseguenza di tenere più basse quelle sulla birra e sugli altri prodotti alcolici. Quello che ci si auspica è che anche in Italia si ottenga un minimo di equità.
Il punto più importante, però, non è tanto l'eterna rivalità vino-birra né tanto meno il pagamento delle accise in sé. Ciò che ha gettato nel panico i birrifici artigianali è stato il repentino aumento dell'imposta: negli ultimi 2 anni l'accisa sulla birra è stata aumentata in maniera indiscriminata, passando da 2,35 €/hl/°P (settembre 2013) a 3,04 €/hl/°P (1°gennaio 2015) ...>>>


mercoledì 18 novembre 2015

I Migliori Posti dove bere Birra Artigianale a Genova

Via Garibaldi
Negli ultimi anni stiamo assistendo alla nascita di tante attività legate alla birra artigianale. Vengono aperti quotidianamente nuovi microbirrifici, brewpub, indie pub, grastropub, beershop e via dicendo. Anche i ristoranti stanno iniziando a dare maggior importanza alle birre artigianali dotandosi di “carte” dedicate, come succede per il vino. Insomma, la birra non viene più intesa soltanto come la classica “bionda” ghiacciata da accompagnare alla pizza in estate, ma come una vera e propria bevanda adatta all'abbinamento dei più svariati piatti e magari da utilizzare anche all'interno delle ricette stesse.
Porto Antico al tramonto
Protagoniste di questa rivoluzione sono soprattutto le grandi città, dove si concentra il maggior numero di locali e dove l’interesse dei consumatori cresce in maniera esponenziale. Roma, Milano, Bologna e Firenze sono quelle che garantiscono l’offerta più ampia, ma anche altri centri stanno cominciando a dire la loro: uno di questi è Genova.
Fino a pochi anni fa, nel capoluogo ligure la birra artigianale era praticamente assente. Se eri fortunato riuscivi a trovare un irish pub o una trattoria che avesse giusto un paio di bottiglie di qualche birrificio locale e, per di più, a prezzi esorbitanti.
Porto di Genova
Lo stesso discorso valeva per quelle enoteche - un po’ più virtuose - che, oltre ad avere vini e distillati, si avvalevano anche di qualche famosa etichetta artigianale italiana.
Ricordo anche un Italia Beer Festival svoltosi a Sampierdarena nel 2011 che si rivelò un flop totale. Oggi però la situazione è cambiata. Il Genova Beer Festival 2015 è stato un successo e nel mio recente soggiorno a Zena ho potuto constatare di persona che la scena birraria locale sta (lentamente) evolvendo. Ecco, quindi, la lista dei locali che preferisco:

San lorenzo
Non me ne vogliano gli altri, ma da oggi considero la Scurreria il miglior locale della città per bere una birra artigianale di qualità. Questa birreria si trova di fianco alla cattedrale di San Lorenzo.
Ha aperto i battenti solamente il 21 maggio scorso, ma si è distinta da subito. Il locale non è fatto a immagine e somiglianza di una classica birreria “tutto legno e sgabelli”, ma è stata realizzata con un design più moderno e curato. Ai puristi dell’Irish Pub potrà non piacere ma io l’ho trovata il giusto compromesso fra vecchio e nuovo. Il bancone basso è molto "english" e la sua maggiore particolarità sono le spine che scendono dal soffitto (perché la cantina si trova al piano superiore).
I proprietari, Giorgio e Alessandro, sono preparati e molto appassionati e garantiscono un'offerta qualitativamente ineccepibile. Attualmente il banco dispone di 12 spine e 2 pompe inglesi, ma l’intenzione è quella di aggiungere Real Ale in cask e altre 2 pompe. Oltre a birre artigianali italiane si possono trovare anche molti prodotti stranieri (con un occhio di riguardo per la Franconia, di cui i gestori sono ottimi conoscitori).
E’ presente anche un frigo con alcune etichette in bottiglia di tutto rispetto (soprattutto acide e birre a lunga scadenza). La cucina è semplice ma con ingredienti di qualità: panini, piadine, hamburger, patate rustiche e la specialità della casa: i bagel. Gli orari di apertura sono un altro punto a favore: tutti i giorni dalle 12.00 alle 02.00 (orario continuato). Per quanto riguarda le birre, la rotazione è piuttosto veloce (e ammetto che la cosa mi ha felicemente sorpreso). Ne ho provate davvero tante. Inutile menzionarle una a una, anche perché non le ricordo tutte! Quelle che mi sono piaciute di più sono state le lager della Franconia alla spina, trovate tutte in splendida forma - cosa non affatto scontata! -, ma anche un grande classico come la Zinnebir di De la Senne (ottima e freschissima). Questo è il vero craft beer pub che a Genova mancava...>>>

martedì 10 novembre 2015

La fusione fra AB-InBev e SABMiller: la nuova Superpotenza Mondiale della Birra

Come molti già sapranno, in questi giorni AB-InBev ha comprato SABMiller per l’esorbitante cifra di 106.000.000.000 di dollari. Alla fine è successo: i due più grandi produttori di birra al mondo si sono uniti, andando a formare un nuovo (e imbattibile) leader del mercato mondiale. I nomi delle due società potranno non dire molto ai più, ma basta andare a vedere i marchi posseduti dai due Big per capire di chi stiamo parlando.

Solamente una quindicina di anni fa, la scena mondiale dell'industria della birra era molto frammentata. Con i suoi 8.5 punti percentuali di quota di mercato, la statunitense Anheuser-Busch (AB) aveva nelle proprie mani la leadership mondiale grazie soprattutto alla Budweiser, la sua “punta di diamante”.
Nel 2004, la belga Interbrew si fuse con la brasiliana AmBev, dando origine alla InBev. Solamente quattro anni più tardi, InBev comprò AB andando così a consolidare il proprio primato mondiale. 
Nel 2015, AB-InBev risulta ancora essere il produttore N°1 al mondo con il 21% di quota di mercato a livello mondiale. Fra le oltre 300 etichette vendute ci sono molti celebri marchi, come: Stella Artois, Beck's, Staropramen, Tennent's, Leffe, Bass, Jupiler, Hoegaarden, Corona Extra e proprio Budweiser.


Un'altra importante azienda statunitense è la Miller, detentrice dei famosi marchi Miller High Life e Miller Lite. Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, grazie al successo della Miller Lite (in gran parte dovuto alla campagna pubblicitaria "Great taste, less filling" che metteva in risalto la leggerezza di questa birra rispetto alle altre) la quota di mercato statunitense della Miller rappresentava circa il 20% e si poneva in aperta rivalità con la Budweiser di AB che ne deteneva il 25%. Dal 1970 la Miller Brewing Co. apparteneva alla Philip Morris (celeberrima società operante nel settore del tabacco), ma nel 2002 venne ceduta definitivamente alla sudafricana SAB (South African Breweries, fondata a Johannesburg nel 1895) dando così origine alla SAB-Miller, attuale detentrice di circa il 10% di quota di mercato mondiale. Ad oggi, l'azienda produce e distribuisce birra in oltre 60 Stati del mondo. Sei dei suoi prodotti rientrano nella classifica dei “50 migliori marchi di fabbrica del pianeta” e il suo titolo quotato sul London Stock Exchange è l’11° per capitalizzazione, con un fatturato che si aggira intorno ai 20 miliardi di dollari. 
Tra i prodotti commercializzati da SAB-Miller, solo in Europa troviamo molte famose etichette come: Pilsner Urquell, Dreher (in Ungheria), Ursus, Tyskie, Nastro Azzurro, Peroni (dal 2005), Raffo e Grolsch ...>>>

martedì 27 ottobre 2015

I 5 Punti del Piano delle Industrie per Contrastare i Birrifici Artigianali

I consumatori di birra artigianale stanno aumentando a dismisura. Tanti nuovi birrifici nascono ogni giorno e si vanno a sommare alle migliaia già lanciati sul mercato. I loro prodotti iniziano a essere presenti un po’ ovunque, non più solo in poche birrerie specializzate e frequentate da un pubblico di nicchia.
Il movimento artigianale internazionale è in piena espansione e anno dopo anno riesce a incrementare volumi di produzione, vendite e fatturati.
E le industrie se ne sono accorte.
Dopo un primo approccio di indifferenza nei confronti dei birrifici artigianali, negli ultimi anni stiamo assistendo a un importante cambio di strategia. Adesso le multinazionali birrarie temono questa forte ascesa delle birre artigianali, perché si è rivelata non essere un innocuo “fuoco di paglia”.
I gusti dei consumatori stanno cambiando. Le persone stanno prendendo sempre più coscienza del fatto che esiste un universo di tipologie di birra, di profumi e sapori, di storie e tradizioni, aldilà di quella brodaglia-gialla-gassata-ghiacciata-cartonata che le industrie spacciano per “birra”.
I dati parlano chiaro: ogni anno che passa, i “micro-birrifici” conquistano sempre maggiori fette di mercato e questo trend sembra essere costante e inarrestabile.
I grandi gruppi industriali stanno quindi cercando di correre ai ripari attraverso una controffensiva portata avanti su più fronti a livello mondiale.

La loro strategia non è di certo un segreto e si può facilmente esporre in questi 5 punti:
1. Creare i propri marchi di birra "quasi" artigianale.
2. Comprare i birrifici artigianali che sottraggono mercato all'industria.
3. Difendere e pubblicizzare le birre "macro", snobbando le birre artigianali.
4. Comprare i distributori per controllare la distribuzione di birra a livello nazionale.
5. Fondere le società unendo forze e capitali per travolgere il mercato.

# 1. Creare i propri marchi di birra "quasi" artigianale. 
Negli ultimi anni, le industrie di birra sono state costrette a fare i conti con l'aumento di popolarità e richiesta di birre artigianali da parte dei consumatori. Non potendo produrre vera birra artigianale, alcune aziende si stanno adoperando per creare dei prodotti che sembrano artigianali (ma che in realtà non lo sono affatto, ndr). 
Questi prodotti prendono il nome di "Crafty" Beers (o birre “pseudo” artigianali)Negli Stati Uniti un esempio lampante ci è offerto dalla Blue Moon Brewing che produce una nota birra Blanche dal 1995. Nonostante il il marketing, il packaging (sull’etichetta c’è scritto “artfully crafted”) e il prezzo immotivato (costa 50% in più delle sue “sorelle” industriali) ci facciano intendere che sia artigianale, la verità è molto diversa. Né sul sito della Blue Moon né da nessun'altra parte viene menzionato il fatto che il marchio appartenga a Coors, noto birrificio del Colorado che fa parte della Joint Venture MillerCoors, che a sua volta appartiene a SABMiller. Si tratta di un vero e proprio meccanismo di scatole cinesi.
Blue Moon era in anticipo sui tempi in quella che è divenuta nota come la categoria dei "furbi" del mondo della birra, nella quale inseriamo tutti quei produttori che a una prima occhiata sembrano piccole aziende artigianali indipendenti, ma che in realtà si rivelano essere di proprietà di grandi industrie birrarie.
Un altro esempio ci è dato dalla Shock Top: la più famosa crafty beer appartenente al gruppo AB-InBev. Nonostante si tratti di una birra industriale, secondo un recente sondaggio, ben "il 75% dei consumatori intervistati pensa che la Shock Top sia una piccola birra artigianale sconosciuta."
Questa situazione non nasce tanto dalla superficialità dei consumatori quanto dalla capacità (e volontà) delle grandi industrie di confondere le idee per competere sul mercato contro le birre artigianali.
Chiaramente, questi marchi sperano di vincere nelle vendite creando l'apparenza di "indie" e di autenticità artigianale attraverso strumenti di forte impatto psicologico ed emotivo come l’utilizzo di social media, di imponenti campagne pubblicitarie e di marketing aggressivo. Ciò nonostante, potrebbero non essere in grado di offuscare le idee dei consumatori ancora a lungo, dato che all'inizio di quest'anno è stata depositata una class-action contro MillerCoors perché reo di presentare la Blue Moon come una birra artigianale quando non lo è affatto, almeno non nei termini previsti dalla definizione della Brewers Association, che identifica un Birrificio Artigianale come un'azienda “indipendente”, “piccola” e “tradizionale”...>>>

venerdì 18 settembre 2015

Milano Beer Week 2015: i 10 eventi da non perdere!

Lunedì 21 Settembre inizierà la Milano Beer Week 2015, un'intera settimana dedicata alle birre artigianali e ai migliori locali della città in cui poterle degustare.
Giunto alla 2a edizione, questo vero e proprio Festival Birrario Cittadino nasce da un'idea di Maurizio Maestrelli (@Birragenda) che si è ispirato ad alcune famose manifestazioni d'oltreoceano (in particolare al San Francisco Beer Week e al Philadelphia Beer Week).

Gli obiettivi della MBW sono molteplici: valorizzare le produzioni birrarie di qualità, diffondere una cultura della birra che vada oltre i luoghi comuni e che permetta di apprezzare le tante e diverse sfumature di aromi e di gusto che ci sono tra una birra e l’altra, promuovere un consumo intelligente della birra, bevanda da sempre considerata socializzante e informale, valorizzare infine i migliori locali e gestori che s’impegnano a promuovere le piccole produzioni d’autore andando oltre i grandi brand industriali.
Non si tratta dunque di una normale “festa della birra” con un’unica location e un numero più o meno elevato di birrifici, ma di un vero e proprio festival diffuso in diversi ambienti tutti accomunati dalla passione e dalla valorizzazione delle birre d’autore.
Quest'anno sono stati selezionati ben 30 locali birrari (con un aumento del 40% rispetto ai "soli" 18 dell'anno scorso).

martedì 25 agosto 2015

Road Trip & Beer Hunting in Corsica

Sono appena tornato da 10 incredibili giorni passati in Corsica. Non la posso definire proprio una vacanza rilassante - sono tornato più stanco e acciaccato di prima -, ma più precisamente un viaggio. Un viaggio in cui ho girato su e giù per tutta l'isola, passando da spiagge caraibiche a escursioni in montagna, da piscine naturali immerse nella maquis a dolci colline coperte di vigneti e disperse nel nulla più incontaminato.
Non vi dirò quanto la Corsica sia fantastica e non scriverò neanche un resoconto completo del mio viaggio perché dovrei buttare giù almeno un post per ogni giorno passato sull'Ile de Beautè.
In questo report mi concentrerò maggiormente su un'attività in particolare che ho avuto il grande piacere di svolgere sull'isola, e cioè del sano (e difficile) beer hunting.
Qualcuno si starà chiedendo cosa voglia dire... Beh, proprio quello che il termine vuole sottintendere: "cacciare birre", cioè andare alla ricerca di birrifici e birre artigianali prodotte in terra Corsa.
Girando un po' su internet non sono riuscito a scovare quasi nessuna notizia sulla produzione di birra artigianale sull'isola.
Le uniche notizie che ho trovato riguardavano la famosa Brasserie Pietra. Si tratta dell'unico birrificio industriale Corso ed è situato a Furiani, poco a sud di Bastia. In Corsica potete trovare le sue birre praticamente ovunque, sia alla spina che in bottiglia. Non è così difficile da trovare anche in Italia, dove diverse birrerie offrono la loro birra alla castagna in bottiglia.
Aperta nel 1996, questa fabbrica di birra è nata dalla volontà di sviluppare sull'isola un progetto innovativo ma che potesse ascriversi alla storia ed alle produzioni locali. L'azienda produce anche bevande analcoliche come la Corsica Cola (dal 2003) e il famoso whisky corso P&M (dal 2004) in collaborazione con la locale distilleria artigianale Mavena di Alèria dei fratelli Venturini; in particolare, Pietra si occupa di scegliere il malto d'orzo migliore e di fermentare il mosto, mentre Mavena si occupa della distillazione. L'affinamento in botte, invece, avviene in Scozia. 
Consiglio a tutti di andare a visitare la cantina della Domaine Mavena dove potrete trovare centinaia di prodotti tipici corsi (vini AOP, liquori, distillati, conserve, mieli AOP, marmellate, formaggi AOP, olio d'oliva, salumi ecc ecc), molti dei quali possono essere degustati in loco. Interessante anche la visita alla distilleria, possibile solo su prenotazione.
Al momento Pietra offre 3 birre "fisse" (Pietra, Colomba e Serena), una natalizia (Pietra de Noel) e due recenti produzioni destinate presumibilmente alla grande distribuzione (Pietra Bionda alla castagna con 5,5% abv e Pietra Rossa ai lamponi con 6,5% abv)...>>>

giovedì 6 agosto 2015

Viaggio Birrario in Giappone. Parte I: Kyoto

Il Giappone è un paese davvero interessante e per certi versi molto “singolare”. La sua millenaria storia, i suoi abitanti, il cibo e la sua cultura ne fanno una nazione davvero affascinante.
Per quel che riguarda la birra, che qui è quello che ci interessa maggiormente, nel corso degli ultimi anni il Giappone si è rivelato un paese molto frizzante che sta offrendo sempre più prodotti che non hanno nulla da invidiare a quelli più blasonati di Stati Uniti ed Europa.
I locali visitati sono stati frutto di ricerche online e di consigli da parte di chi questo paese lo conosce bene grazie a numerosi viaggi e alla passione maturata nel corso degli anni.  
La prima parte del resoconto di viaggio riguarda Kyoto: città con circa 1,5 milioni di abitanti, nota come “la città dai mille templi”, che in passato fu la capitale del paese per più di un millennio. Essendo stata quasi interamente risparmiata dalla seconda guerra mondiale, Kyoto è considerata il più grande reliquiario della cultura giapponese, e per questo inserita nei siti protetti dall'UNESCO. È una sede universitaria di importanza nazionale e centro culturale di livello mondiale. Proprio qui è stato redatto il famoso Protocollo di Kyoto nel 1997.
La città è famosa soprattutto per i bellissimi giardini zen annessi ai templi, ma anche perché luogo di origine della maggior parte delle più antiche forme d'arte giapponesi: dalla cerimonia del thè al teatro Kaburi, dall'Ikebana alla danza Kyomai.
Assolutamente da non perdere è la visita al Tempio Kiyomizudera, uno dei più famosi di tutto il Giappone nonché patrimonio UNESCO dal 1994. Fondato nel lontanissimo 778, prende il nome dalle acque sacre della cascata Otowa che si trova proprio sotto la terrazza del tempio e dalla quale si gode una splendida vista su tutta la città...>>>

lunedì 6 luglio 2015

La Storia delle IPA (quella vera!)

Spaceman IPA by Brewfist
Se siete stati in un locale che vende birra artigianale saprete anche voi che uno degli stili di birra più in voga del momento è l'India Pale Ale, abbreviato spesso in I.P.A. (da leggere aipiei). Non mi scervellerò in questa sede sulle ragioni del suo successo, ma di seguito vi proporrò un breve resoconto della storia della sigla più famosa della birra artigianale, dagli albori ad oggi, sfatando miti sentiti e risentiti in tutti i pub. 

La maggior parte delle notizie derivano dalle ricerche del giornalista, storico e divulgatore birrario inglese Martyn Cornell.

Per cominciare facciamo un salto indietro di circa 200 anni e proviamo a capire com'era la situazione in Inghilterra nei primi anni dell'Ottocento. 
Se foste entrati in un pub e aveste chiesto genericamente una “beer”, vi sareste visti servire una Porter, la birra più bevuta dalla classe lavoratrice inglese. Era scura e ben luppolata: il nome beer, infatti, si ricollega alla tradizione continentale di definire “birra” una bevanda derivata dalla fermentazione del malto d'orzo e aromatizzata esclusivamente con il luppolo (si pensi al Reinheitsgebot bavarese). 
Se, al contrario, aveste chiesto una “ale” vi sarebbe stata servita una Mild. La radice di ale deriva da una parola delle popolazioni germaniche che indicava un prodotto fermentato a base di cereali, in cui però non veniva necessariamente aggiunto il luppolo. Il termine Mild, invece, significa dolce/mite/blando e nasce proprio per indicare una birra più chiara e meno amara rispetto alle Porter (a causa di una minore luppolatura e della mancanza di malti neri torrefatti); il colore delle Mild variava da giallo dorato a ramato carico e si potevano bere senza dover aspettare una lunga maturazione.
Da una costola delle ale nacquero le pale ale, di colore più chiaro e maggiormente luppolate rispetto alle prime. Nei pub erano identificate col nome di Bitter (traducibile letteralmente in amaro) e venivano servite dopo una maturazione di alcuni mesi. 
Bass & Co. Brewery, Burton upon Trent
Le pale ale di maggiore successo erano quasi tutte prodotte nella cittadina di Burton upon Trentnello Staffordshire; l'acqua dei pozzi di Burton era, infatti, particolarmente ricca di solfati e questa peculiarità andava ad esaltare le caratteristiche dello stile. 
Ogni birrificio produceva Bitter in diverse versioni, da quelle più leggere a quelle più forti: la versione più estrema era quella delle Stock Pale Ale, birre pesantemente luppolate e di gradazione alcolica più elevata, da far maturare 12 mesi ed oltre. 
Tutte queste birre luppolate erano più care delle Porter e delle Mild ed andavano molto di moda tra le classi benestanti, che le usavano per distinguersi dalla massa...>>>

mercoledì 10 giugno 2015

Il mio Arrogant Sour Festival 2015

Per il terzo anno consecutivo l'Arrogant Pub ha organizzato ARROGANT SOUR FESTIVAL, un festival dedicato solamente alle birre acide!, che si è svolto a Reggio Emilia dal 29 al 31 Maggio. La scelta della location è caduta su un prestigioso chiostro del 1600 in pieno centro: i Chiostri della Ghiara, in cui si trova anche l’ostello della città con 100 posti letto in cui sono stati ospitati i relatori, i birrai ed i publican del Festival.
Per questo evento speciale erano presenti oltre 60 produttori, tra italiani e stranieri, con almeno 150 etichette proposte alla spina, a pompa e a caduta; sono state montate ben 70 spine su un unico bancone di oltre 40 metri ed è stata attrezzata anche una bottaia nel chiostro più piccolo, dove erano presenti alcune birre spillate direttamente dalla botte di maturazione! Accanto alle birre, l’ottima cucina Reggiana è stata parte integrante del Festival. Piccoli produttori locali erano presenti con i loro stand e parte dei menu erano interamente dedicati ai prodotti locali sia caldi (lasagne, tortelli, …) che freddi (prosciutto, formaggi, ciccioli, erbazzone…).

Come era organizzato il festival
Bancone dell'Arrogant Sour Festival 2015
All'entrata dei Chiostri si acquistava il bicchiere da degustazione (7€), serigrafato con il logo della manifestazione, e i gettoni con i quali si potevano acquistare gli assaggi, le bottiglie, il cibo e i gadget. Ogni gettone valeva 1€.
Su ogni spina era segnalato il produttore, il nome della birra, una breve descrizione, il grado alcolico e il numero di gettoni necessari per avere un assaggio da 15cl; quindi, la quantità era fissa, ma variava il numero di gettoni per acquistarla. Le birre più economiche valevano 2 gettoni, ma si poteva arrivare anche fino a 5 gettoni per un assaggio di birre particolari come le Xyauyù di Baladin.

The Gose Strikes Back
La prima birra che ho assaggiato è stata The Gose Strikes Back (4,8% abv) dell'inglese Beavertown Brewery, una Gose con aggiunta di more.
Gose è uno stile di birra molto particolare appartenente alla tradizione tedesca; nacque circa nel XVI secolo nella cittadina di Goslar, ma nei secoli a seguire divenne lo stile tipico della vicina Lipsia. Si tratta di birre ad alta fermentazione prodotte a partire da una base di malto d'orzo "pils" e malto di frumento (50-60%) a cui viene aggiunta in bollitura una certa quantità di luppolo tedesco, coriandolo, sale e lactobacillus (che donano alla birra una nota lattica spiccatamente acidula). Il corpo solitamente è molto esile e la chiusura è piuttosto secca, mentre l'amaro dev'essere quasi del tutto impercettibile. Questa birra è dominata da aromi speziati e minerali e la bassa gradazione alcolica la rende particolarmente estiva e dissetante.
Devo dire che la versione di Beavertown con le more non mi è dispiaciuta affatto, anzi è stata un'ottimo inizio di serata...>>>

lunedì 25 maggio 2015

Come un birrificio artigianale può perdere la retta via: la cessione di Meantime a SAB Miller

Nel mondo della birra artigianale è stata accolta con grande sorpresa la notizia della vendita di uno dei più importanti birrifici artigianali inglesi alla multinazionale SAB Miller (la seconda più grande società di produzione birraria in tutto il mondo). L'AD di Meantime ha rivelato che tale decisione è stata presa perché sembrerebbe che il birrificio non abbia più le risorse e la capacità necessarie per andare avanti "fino alla successiva fase del suo percorso di crescita".
Nick Miller - che si è unito all'azienda in qualità di CEO nel 2011 - ha infatti detto che lui e Alastair Hook (fondatore del birrificio), assieme al resto del consiglio di amministrazione, stavano pensando già da qualche tempo a una partnership con un grande produttore di birra al fine di consentire una crescita ulteriore della società. 
"Eravamo sul punto di prendere una decisione e abbiamo pensato che una partnership sarebbe stata la scelta migliore per andare a rifinanziare il birrificio" ha detto Miller. "Penso che avremmo potuto vendere tutto a un'importante produttore di birra, potevamo tentare la strada del crowd-funding o anche chiedere un prestito in banca, ma è un po' troppo semplicistico minimizzare questa situazione a un mero rifinanziamento economico. Bisogna anche fare i conti con la capacità produttiva dell'azienda, le capacità ingegneristiche, le capacità di fare marketing e di gestire il mercato globale [...]. Il lato finanziario non è mai stato un problema per noi, perché abbiamo un ottimo rapporto con la nostra banca. Il problema verteva più sulla domanda: 'come si fa a sostenere la crescita, rispetto alle limitate capacità interne della società?' Questa è la sfida strategica fondamentale per noi e la partnership con SAB aiuta enormemente a superarla".
Nick Miller
Miller ha poi rivelato come il processo che ha portato alla vendita del birrificio sia iniziato da un incontro casuale avvenuto lo scorso marzo: "Un vecchio amico, con cui avevo lavorato in passato, stava organizzando una festa per il suo 50° compleanno e mi ha telefonato per comprare un po' della nostra Pale Ale. Così è venuto in birrificio e, tra un boccone e una birretta, mi ha chiesto come stessero andando gli affari. Ho detto: 'Beh, siamo prossimi a una nuova fase in cui abbiamo bisogno di trovare nuove capacità e risorse. Abbiamo una serie di opzioni, potremmo farlo da soli, ma potremmo farlo meglio con una partnership con un produttore di birra che ci sappia dare l'esperienza e i mezzi necessari di cui abbiamo bisogno.'
Quattro o cinque giorni dopo, il suo capo a SAB Miller venne da me e mi disse: 'Guarda, ecco l'occasione che fa al caso vostro, volete considerare la nostra offerta?' " ...>>>