martedì 29 dicembre 2015

La birra artigianale italiana (non) esiste. Buoni propositi per il 2016...

Cosa serve oggi alla birra artigianale italiana?
Prima di tutto: essere riconosciuta. Forse non tutti lo sanno, ma la birra artigianale italiana non è ancora stata riconosciuta a livello legislativo. Sembra assurdo, però è così. Di fatto, gli artigiani italiani non possono scrivere sulle etichette delle proprie bottiglie “birra artigianale”, perché per la legge italiana la birra artigianale semplicemente non esiste. Qualcuno negli anni passati ci ha provato comunque – chi per ignoranza e chi per provocazione – ma è stato prontamente richiamato e in alcuni casi anche multato.
Nel 2016, sarà (forse) il caso di rimediare a questa assurdità. Fra le buone intenzioni per il nuovo anno ci mettiamo quindi l'aggiornamento delle nostre leggi (obsolete) sulla birra
Il disegno di legge 3119, che punta a semplificare il settore alimentare, può essere un ottimo veicolo per riconoscere le esigenze legittime di centinaia di micro-birrifici, oggi penalizzati dal fisco rispetto ai concorrenti europei e sottoposti a dubbie interpretazioni da parte della burocrazia pubblica.
Per questo motivo, lo scorso 16 dicembre si è tenuta al Ministero dell'Agricoltura un'audizione tra i rappresentanti delle maggiori associazioni birrarie nazionali (Unionbirrai, AssoBirra e CNA in prima linea) e quelli dei vari partiti.
Ne è uscito un quadro abbastanza variegato, con problematiche più o meno urgenti, ma quello che ho potuto constatare è stato il sincero interesse da parte dei politici (e anche una discreta preparazione sull'argomento da parte di alcuni di loro). Ed ecco quali sono le maggiori richieste che i birrifici artigianali reclamano a gran voce:

DIMINUZIONE DELLE ACCISE
L'accisa è un'imposta “di produzione” che grava solo su alcune tipologie di prodotti (benzina, luce, gas, alcolici, tabacchi...). Si tratta di un tributo “indiretto” perché il produttore - che è colui che fisicamente paga - gira indirettamente l'imposta al consumatore, aumentando il prezzo finale del prodotto. Rispetto al limitato costo di produzione, l'accisa condiziona fortemente il prezzo finale di vendita, aumentandolo di un'alta percentuale. Di fatto, quindi, colui che finanzia l'imposta è il consumatore, ma i danni di un'accisa alta si ripercuotono ovviamente anche sui produttori e sull'intero comparto in generale.
Per quanto riguarda gli alcolici, gli unici prodotti italiani soggetti al pagamento dell'accisa sono l'alcol etilico (che comunque vanta una delle accise più basse d'Europa) e la birra. Il vino e le altre bevande fermentate sono totalmente esenti dal pagamento di qualsivoglia tassa di produzione.
Di fatto, la birra risulta essere l'unica bevanda fermentata - nonché l'unica bevanda da pasto - a pagare accise.
Discriminazione? Direi di sì. Qualcuno potrebbe sentirsi in diritto di difendere il vino, dicendo che l'Italia è il paese vinicolo per (quantità ed) eccellenza ed è quindi giusto che sia fiscalmente privilegiato. Potrei anche essere d'accordo, se ciò non determinasse indirettamente un reiterato appesantimento fiscale nei confronti delle altre bevande concorrenti, in particolare per la birra (che è il maggior competitor del vino come bevanda da pasto a bassa gradazione alcolica). L'anomalia tutta italiana è facilmente visibile. Persino la Francia, che rappresenta il nostro più storico e stimato avversario, incassa delle accise sulla produzione del vino e questo permette di conseguenza di tenere più basse quelle sulla birra e sugli altri prodotti alcolici. Quello che ci si auspica è che anche in Italia si ottenga un minimo di equità.
Il punto più importante, però, non è tanto l'eterna rivalità vino-birra né tanto meno il pagamento delle accise in sé. Ciò che ha gettato nel panico i birrifici artigianali è stato il repentino aumento dell'imposta: negli ultimi 2 anni l'accisa sulla birra è stata aumentata in maniera indiscriminata, passando da 2,35 €/hl/°P (settembre 2013) a 3,04 €/hl/°P (1°gennaio 2015) ...>>>



Cosa significano questi numeri? Ipotizzando di produrre una birra “standard” - a partire da un mosto di 12° Plato -, l'incremento dell'accisa è stato di +30% nei soli ultimi 15 mesi (che si tramutano in ben +117% se si considerano tutti gli aumenti effettuati negli ultimi 12 anni da parte dei vari governi che si sono susseguiti). Il vino, invece, è rimasto perennemente inchiodato a 0.
A seguito di questa improvvisa impennata, il settore birrario si è mobilitato attraverso svariate azioni, fra le quali: petizioni online, pubblicità-denuncia per informare i consumatori, apertura di siti web dedicati, pagine facebook, tavoli di confronto con enti e legislatori, ecc ecc.

Oltre ad auspicare il ritorno dell'accisa ai livelli di 3 anni fa, che cosa chiedono i produttori di birra? 

1) STABILIRE L'ACCISA A “VALLE” E NON A “MONTE”
Attualmente, in Italia, l'accisa viene conteggiata in base al numero di ettolitri di mosto prodotto (1 hl=100 litri) e al grado zuccherino di quel mosto (misurato in gradi Plato, °P).
Esempio: se oggi un birrificio artigianale italiano produce una cotta da 10 hl di mosto con una densità pari a 15°P, dovrà pagare un'accisa di produzione pari a: 3,04 € * 10 hl * 15 °P = 456 €.
Se si tornasse alla situazione di settembre 2013, per la stessa quantità di mosto il birrificio (leggasi i consumatori) pagherebbe 352,50 €: oltre 100€ in meno per ogni cotta!
Aldilà di questo esempio, che offre una chiara idea di come l'incremento dell'accisa degli ultimi mesi rappresenti un forte handicap per tutto il settore birrario, il vero dramma italiano sta nel momento previsto per l'accertamento dell'imposta!
L'Articolo 3 della Direttiva Europea 92/83CEE - e il suo successivo aggiornamento presente all'Art. 6 della Direttiva 92/84CEE - prevede che l'accisa venga accertata “sul prodotto finito”. In Italia, invece, si fa sempre tutto al contrario!
Per essere chiari, da noi l'accisa viene calcolata a “monte” del processo produttivo (cioè sulla quantità di mosto prodotto). Questo è un GRAVE ERRORE che necessita di essere corretto al più presto. La norma, infatti, prevederebbe l'adempimento fiscale a “valle” del processo di produzione, cioè sulla quantità di birra finita (e che effettivamente verrà messa in commercio!).

Schema del processo produttivo della birra: dal mosto al prodotto finito.
Perché? E' molto semplice: NON TUTTO IL MOSTO DIVENTA BIRRA.
Normalmente, durante le varie fasi del processo produttivo, una parte di mosto viene fisiologicamente perduta. In genere, questa componente si aggira intorno all'8%-15% del mosto totale. Questa quantità di “liquido” non diventerà mai birra e non entrerà mai sul mercato; nonostante ciò, a causa dell'adempimento fiscale "a monte", in Italia l'accisa si paga anche su questo semi-lavorato di scarto che non verrà mai imbottigliato. Abbastanza scandaloso.

2) PAGARE L'ACCISA IN BASE ALLE DIMENSIONI E AL TIPO DI BIRRIFICIO
La suddetta Direttiva Europea 92/83/CEE del Consiglio, del 19 Ottobre 1992 (relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sulle bevande alcoliche), consiglia altresì agli stati membri di far pagare meno accise a tutti quei “piccoli birrifici indipendenti” che producono meno di 200.000 hl di birra l'anno.
In Italia, ovviamente, questa direttiva non è mai stata recepita a dovere (anche perché nel 1992 i birrifici artigianali italiani non esistevano ancora; per l'appunto, l'anno che viene comunemente attribuito alla nascita del nostro movimento artigianale è il 1996. Fra i primi “pionieri” del '96, i più importanti birrifici tuttora in espansione sono: Baladin, Birrificio Italiano e Birrificio Lambrate).
Grazie al recepimento di quella direttiva da parte della maggioranza degli altri Stati membri, oggi i nostri birrifici artigianali corrono svantaggiati anche sul mercato internazionale, perché molti micro-produttori stranieri “rivali” vantano accise assai più competitive rispetto alle nostre.
Ormai in Italia abbiamo circa 900 produttori di birra artigianale (di cui circa 500 microbirrifici attivi, 150 brewpub e 250 beer firm). Se nel 1992 non c'era la reale necessità di recepire in maniera adeguata quella direttiva, oggi invece ve n'è grande urgenza.
Fondamentali, però, saranno soprattutto le modalità. Anziché far pagare una cifra minore imprecisata di accise, l'ideale sarebbe creare un sistema simile a quello adoperato da molti altri paesi europei (fra cui Austria, Belgio, Rep.Ceca, Germania, Danimarca, Gran Bretagna, Francia, Finlandia...) che consiste nella possibilità di “scaglionare” l'accisa in base alle dimensioni dei birrifici. Esempio:


PRODUZIONE ANNUA (in hl)SCONTO DELL'ACCISA
<= 5.00050%
5.000 < x <= 10.00040%
10.000 < x <= 25.00030%
25.000 < x <= 75.00020%
75.000 < x <= 200.00010%           


Sala cotte del birrificio Birranova
col birraio Donato Di Palma (2011)
Vediamo di fornire qualche dato per capire meglio questa tabella. Prima di tutto bisogna dire che, ad oggi, i nostri più grandi birrifici artigianali producono circa 20.000-30.000 hl/anno, e non sono molti. In realtà si contano sulle dita di una mano (o al massimo di due). Tutti gli altri sono molto più piccoli e la stragrande maggioranza produce di gran lunga meno di 5.000 hl/anno. 
In media, la produzione annua di birra artigianale italiana è pari a circa 600-700 hl a birrificio.
Le grandi aziende industriali, invece, sono tutte nettamente al di sopra del limite dei 200.000 hl/anno, come ovvio che sia. 
Le industrie e i birrifici artigianali dovrebbero di conseguenza pagare accise diversificate. 
"serpentone" d'imbottigliamento in un'industria della birra
Non è possibile tassare un artigiano che produce 1.000hl/anno allo stesso modo di un'industria (magari anche multinazionale) che produce milioni di hl di birra all'anno disponendo di un capitale umano ed economico esponenzialmente maggiore.
La suddivisione in 5 “classi” - in base alla produttività - l'ho scelta perché largamente utilizzata da quasi tutti i paesi sopra elencati.
Determinare i confini fra una classe e l'altra, invece, è un po' più complicato perché bisogna conoscere le caratteristiche del mercato birrario di ogni singolo paese. A parte Finlandia, Danimarca e Germania, quasi tutti gli altri paesi partono da 10.000-12.500 hl/anno. Per il nostro movimento, però, mi sembrava un po' eccessivo. Ho scelto dei limiti un po' più bassi della media (5.000 hl e 10.000 hl per i primi due scaglioni) tenendo in considerazione sia l'attuale “piccolezza” dei nostri birrifici artigianali sia la crescita potenziale che dovrebbe interessarli nei prossimi anni.
Anche la scelta di scontare l'accisa in quel modo non è casuale. La Direttiva 92/83CEE prevede che il massimo sconto possibile sia del 50% rispetto alla normale accisa vigente. Paesi come Austria, Rep.Ceca, Finlandia e Germania partono da un'accisa dimezzata (o quasi) per la “classe” dei birrifici più piccoli e proseguono a scatti di circa il 10% in meno per ogni scaglione. Per le agevolazioni sull'accisa indicate in tabella mi sono ispirato proprio a questa modalità. Ci sono però altri paesi che fanno anche di più! Ungheria, Francia, Portogallo, Estonia, Grecia e Malta tengono le accise dimezzate per tutti gli scaglioni, indifferentemente dalla grandezza del birrificio. L'Irlanda, addirittura, esenta completamente dal pagamento delle accise tutti i birrifici che producono meno di 20.000hl/anno.
Insomma, sulla bellezza di 28 Stati, gli unici che non prevedono alcun tipo di aiuto per le “Indipendent Small Breweries” sono: Spagna, Slovenia, Croazia, Cipro, Svezia e Italia. Capirne il motivo non è complicato: i primi quattro possiedono una tradizione molto più filo-vinicola che birraria, mentre la Svezia è un caso a parte perché tassa tantissimo qualsiasi cosa.

Alla fine rimaniamo solo noi: l'Italia. 
Siamo un paese della birra? A primo impatto, molti direbbero di no. Effettivamente, l'Italia non ha una profonda tradizione birraria, la cultura della birra fatica a diffondersi fra i consumatori (anche se negli ultimi 5 anni sono stati fatti passi da gigante), per non parlare del fatto che siamo il fanalino di coda dell'Europa per quanto riguarda il consumo pro capite annuo (solamente 29,2 litri nel 2014).

D'altro canto, l'Italia vanta il doppio record del maggior numero di consumatori donne a livello europeo (6 su 10), che allo stesso tempo sono anche quelle che bevono meno pinte (nominate bevitrici “più responsabili” d'Europa). In soli 20 anni dalla sua nascita, il movimento artigianale italiano ha visto crescere più di 1050 attività produttive (di cui attive oggi circa 900); vanta la creazione di uno stile birrario ex novo (quello italiano delle Italian Grape Ale, riconosciuto a livello internazionale dal BJCP nel suo Style Guidelines 2015, il più importante manuale di stili birrari al mondo); si è sempre fatto portatore di una ventata di aria fresca, grande fantasia e creatività non essendo condizionato da nessuna tradizione millenaria vincolante (ed è anche per questo che è da sempre visto con grande interesse dagli addetti al settore e considerato da molti di loro uno dei 5 movimenti artigianali più importanti al mondo).
Alcune Italian Grape Ale
I birrifici italiani assorbono continuamente come delle spugne ciò che di meglio hanno da offrire le lunghe tradizioni dei paesi vicini (soprattutto Belgio, Germania e Inghilterra) mettendoci però un tocco di italianità in più, ammiccando anche ai luppoli e alle innovazioni d'oltreoceano. Tutto questo impegno ha portato sempre più soddisfazioni e riconoscimenti. Alcuni birrai italiani sono considerati fra i più preparati ed estrosi che si possano trovare nel panorama mondiale: sono stati fra i primi a usare prodotti tipici della propria terra per caratterizzare le proprie produzioni e a creare un legame col territorio (penso alle birre alle castagne o al farro igp, per esempio), ma sono stati anche in grado di rivoluzionare alcuni stili centenari (penso alla geniale intuizione di effettuare il Dry Hopping nelle Pilsner o alla realizzazione di birre a fermentazione mista al di fuori del Belgio...come non citare la celeberrima Panil Barriquée Sour di Renzo Losi, un'opera d'arte che ha fatto da apripista al successo della birra artigianale italiana nel mondo).
Abbiamo birrai e birrifici che stanno aprendo anche all'estero. Penso al primo pub di birra artigianale italiana aperto a Londra ( The Italian Job Pub ) del Birrificio Ducato (il birrificio italiano più premiato, con oltre 70 riconoscimenti nazionali e internazionali, fra cui 3 medaglie d'argento consecutive vinte con la Via Emilia al World Beer Cup 2010, 2012 e 2014), ma anche a un altro pub che nascerà fra qualche mese a Berlino dalla collaborazione fra lo storico Birrificio Lambrate di Milano e il Macchè di Roma (nominato Miglior Craft Beer Pub del Mondo 2010 su Ratebeer.com).
Simonmattia Riva (al centro) con
i birrai di Hopskin, alle spine del
Beer Garage di Bergamo
Penso anche ai nostri publican, giudici birrari ed esperti di birra che si fanno conoscere in Italia e all'estero: Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, è un'istituzione mondiale conosciuto da tutti per la sua lotta quotidiana per la salvaguardia del lambic, per la diffusione della cultura birraria e per l'aiuto alla crescita del nostro movimento artigianale nazionale. Come non citare anche Simonmattia Riva, che la scorsa estate si è laureto Campione Mondiale di Sommelier della Birra in Brasile. Una vittoria storica, perché andata per la prima volta ad un italiano.
Sto divagando, lo so. Ora la smetto. Tutto questo però mi serviva per dire che la Birra Artigianale Italiana è un vanto per il “Made in Italy”: un settore di gran successo e in continua espansione, che genera eccellenza riconosciuta a livello mondiale e che dovrebbe essere incentivato a dare il massimo e non essere spremuto e penalizzato. Se in queste condizioni è riuscito a dare così tanto, chissà cosa potrebbe fare se lo si valorizzasse al meglio...
Quindi, per rispondere alla domanda iniziale: Sì! da diversi anni l'Italia è anche un paese della birra.

Un altro punto fondamentale espresso all'interno della Direttiva 92/83CEE è quello che riguarda l'indipendenza societaria. Le “indipendent small breweries”, infatti, oltre a essere “small” (meno di 200.000 hl prodotti all'anno) devono garantire di essere 
legalmente ed economicamente "indipendenti" da qualsiasi altro birrificio, utilizzare impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altra birreria e dimostrare di non operare sotto licenza.
Seguendo esclusivamente la logica della “grandezza”, infatti, rientrerebbero nel possibile sconto dell'accisa anche alcune industrie italiane (Menabrea, Pedavena e Theresianer in primis). Ed è proprio per questi casi che entra in gioco l'aggettivo “indipendent”:

  • Menabrea è un birrificio industriale che produce circa 110.000 hl/anno, ma è proprietà di Forst che in totale produce più di 700.000 hl/anno (dati 2011);
  • Pedavena è anch'essa un'industria; oramai produce più di 400.000 hl/anno (dati 2015) e quindi sarebbe fuori dai giochi. In ogni caso, anche Pedavena non è indipendente perché appartiene a Birra Castello che nel complesso produce molto di più di 1.000.000 di hl all'anno;
  • Un birrificio industriale che invece avrebbe tutte le carte in regola per richiedere ed ottenere lo sconto dell'accisa sarebbe Theresianer. Si tratta di una piccola realtà industriale indipendente che produce “solamente” 20.000 hl/anno di birra, circa.
Come si può notare, questa Direttiva non fa discriminazioni sul tipo di birrificio (artigianale o industriale), ma pone l'accento solamente sulla grandezza e sull'indipendenza.

COME FARE PERO' A DISTINGUERE UN BIRRIFICIO ARTIGIANALE DA UNO INDUSTRIALE?
Bisogna pur dare la possibilità ai consumatori di capire se stanno acquistando una birra artigianale o no, altrimenti si concederà sempre più spazio di manovra al marketing subdolo delle industrie e alle loro finte birre artigianali (vedi: Crafty-Beers di Moretti e Poretti).
Qui entra in gioco la questione di cui ho parlato all'inizio: il riconoscimento legislativo di "birra artigianale" e "birrificio artigianale" attraverso una definizione legale e univoca
In questo caso la situazione si fa molto spinosa, perché credo fortemente che nemmeno i birrifici artigianali siano pienamente d'accordo su una definizione chiara e comune. Provo a dare una mia versione:

DEFINIRE LA "BIRRA ARTIGIANALE"

Solitamente, per birra artigianale si intende un prodotto:
-> “vivo”, perché non pastorizzato. La pastorizzazione uccide i lieviti che sono i veri protagonisti della birra e del suo profilo aromatico. C'è un famoso detto che recita: “il birraio fa il mosto, ma la birra la fa il lievito”. In pratica: se pastorizzi, uccidi la birra. Senza pastorizzare, invece, la birra è libera di poter evolvere nel tempo e raggiungere picchi di qualità organolettica molto più alti rispetto a una birra industriale, che risulta "stabile" ma "piatta";
-> “integro”, perché non sottoposto a microfiltrazioni aggressive. Microfiltrazioni troppo spinte determinano l'eliminazione di lieviti e di altri importanti composti donati dal malto e dal luppolo. A livello artigianale, non si effettuano microfiltrazioni troppo occludenti (in genere non si effettuano proprio) in modo da mantenere all'interno del prodotto i lieviti e tutte quelle componenti che caratterizzano gli aromi e i sapori della birra e che garantiscono un potere nutrizionale maggiore. In alcuni casi, però, una blanda microfiltrazione può essere d'aiuto per garantire una maggiore stabilità del prodotto (soprattutto se si vuole esportare la birra). Allora si potrebbe semplicemente considerare di non sottoporre la birra a metodi troppo invasivi (cioè a microfiltrazioni lunghe e numerose e con un'unità di misura dei pori inferiore a tot micrometri);
-> ottenuto a partire da materie prime “di qualità. La legge italiana permette l'uso fino al 40% di succedanei del malto (come mais, riso, zuccheri, farine, sciroppi...), estratti di luppolo (al posto di luppolo vero) e sfruttamento reiterato del lavoro dello stesso lievito per più fermentazioni (ben oltre il massimo che la sua vitalità possa offrire). Mentre le industrie fanno largo uso di tutte queste cose, i birrifici artigianali scelgono materie prime di alta qualità, adoperando solo malto d'orzo e altri cereali di qualità (limitando l'uso di succedanei solo agli "stili" che li prevedono e, comunque, in % molto basse), luppoli veri (freschi o essiccati) e solitamente lieviti freschi che vengono utilizzati una sola volta e poi cambiati... e la differenza si sente;
-> “naturale”, perché non si usano additivi chimici, aromi e/o coloranti artificiali.
-> prodotto con acqua, malto d'orzo, luppolo, lievito e tanta "passione" da parte del birraio, il quale studia, progetta e crea personalmente tutte le ricette e cura direttamente ogni aspetto della produzione.

DEFINIRE IL "BIRRIFICIO ARTIGIANALE"

Un birrificio artigianale dovrebbe essere – uso il condizionale perché anche qui si entra nella soggettività – un'azienda “piccola” (con produzione minore di 200.000 hl/anno), “indipendente” (cioè padrone di se stessa, perché non deve dipendere da nessun altro gruppo birrario nazionale o internazionale né in modo diretto né indiretto) e che produce “birra artigianale” (vedi definizione sopra) in un impianto non totalmente automatizzato in cui il lavoro “manuale” del birraio è necessario e fondamentale.
Volendo si potrebbe fare una più specifica distinzione fra “micro-birrificio artigianale”, "birrificio artigianale" e “birrificio indipendente” (dato che 200.000 hl sembrano tanti per garantire sia la completa indipendenza che il lavoro manuale su un impianto non automatizzato). In tal caso, secondo me, si potrebbero definire le seguenti casistiche:
- "micro-birrificio artigianale"   (< 10.000 hl/anno, indipendente, birra artigianale, lavoro "manuale");
- "birrificio artigianale"   (< 200.000 hl/anno, indipendente, birra artigianale, lavoro "indifferente");
- "birrificio indipendente"   (< 200.000 hl/anno, indipendente, birra industriale, lavoro "indifferente").

Ovviamente, queste sono solo mie considerazioni personali.
Finisce qui questa carrellata di idee e suggerimenti per l'anno nuovo. Speriamo che le associazioni e i legislatori lavorino bene insieme e che il 2016 possa essere l'anno in cui vivremo una seconda rivoluzione della birra artigianale italiana!

A distanza di 20 anni, i tempi sono ormai maturi...

P.S.: se tra un brindisi e l'altro ci levassero di mezzo anche la questione del "doppio malto" gliene saremmo tutti davvero molto grati.


Altre fonti:
- http://www.cna.it/notizie/cna-alimentare-e-unionbirrai-fisco-penalizzante-e-ancora-nessuna-semplificazione
- http://www.cna.it/cna/unioni/alimentare/notizie/il-governo-si-impegna-ridurre-laccisa
- https://it.wikipedia.org/wiki/Accisa
http://www.agenziadoganemonopoli.gov.it/wps/wcm/connect/448592004421d9c28fecbf4e7aaa0be0/Alcole+e+bevande+alcoliche+-+agg+al+1+luglio+2013.pdf?MOD=AJPERES&amp;CACHEID=448592004421d9c28fecbf4e7aaa0be0
- http://www.cronachedibirra.it/birre/12737/alla-scoperta-delle-italian-grape-ale-il-primo-stile-italiano-previsto-dal-bjcp/
- http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/26/birra-artigianale-esiste-legge/186604/


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AGGIORNAMENTO 18/02/2016 
Oggi la Camera ha approvato il testo del Ddl 3119intitolato "Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività  dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale", nel quale è presente la prima definizione italiana di "birra artigianale" e di "birrificio indipendente". 

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AGGIORNAMENTO 06/07/2016 
Con l'approvazione da parte del Senato del Ddl S1328-B, oggi è stata introdotta in via definitiva la prima definizione italiana di "birra artigianale" e di "birrificio indipendente":

   - Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri. -

Un piccolo grande risultato per la birra artigianale italiana. Speriamo che ne seguano tanti altri, il più presto possibile!

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