martedì 29 dicembre 2015

La birra artigianale italiana (non) esiste. Buoni propositi per il 2016...

Cosa serve oggi alla birra artigianale italiana?
Prima di tutto: essere riconosciuta. Forse non tutti lo sanno, ma la birra artigianale italiana non è ancora stata riconosciuta a livello legislativo. Sembra assurdo, però è così. Di fatto, gli artigiani italiani non possono scrivere sulle etichette delle proprie bottiglie “birra artigianale”, perché per la legge italiana la birra artigianale semplicemente non esiste. Qualcuno negli anni passati ci ha provato comunque – chi per ignoranza e chi per provocazione – ma è stato prontamente richiamato e in alcuni casi anche multato.
Nel 2016, sarà (forse) il caso di rimediare a questa assurdità. Fra le buone intenzioni per il nuovo anno ci mettiamo quindi l'aggiornamento delle nostre leggi (obsolete) sulla birra
Il disegno di legge 3119, che punta a semplificare il settore alimentare, può essere un ottimo veicolo per riconoscere le esigenze legittime di centinaia di micro-birrifici, oggi penalizzati dal fisco rispetto ai concorrenti europei e sottoposti a dubbie interpretazioni da parte della burocrazia pubblica.
Per questo motivo, lo scorso 16 dicembre si è tenuta al Ministero dell'Agricoltura un'audizione tra i rappresentanti delle maggiori associazioni birrarie nazionali (Unionbirrai, AssoBirra e CNA in prima linea) e quelli dei vari partiti.
Ne è uscito un quadro abbastanza variegato, con problematiche più o meno urgenti, ma quello che ho potuto constatare è stato il sincero interesse da parte dei politici (e anche una discreta preparazione sull'argomento da parte di alcuni di loro). Ed ecco quali sono le maggiori richieste che i birrifici artigianali reclamano a gran voce:

DIMINUZIONE DELLE ACCISE
L'accisa è un'imposta “di produzione” che grava solo su alcune tipologie di prodotti (benzina, luce, gas, alcolici, tabacchi...). Si tratta di un tributo “indiretto” perché il produttore - che è colui che fisicamente paga - gira indirettamente l'imposta al consumatore, aumentando il prezzo finale del prodotto. Rispetto al limitato costo di produzione, l'accisa condiziona fortemente il prezzo finale di vendita, aumentandolo di un'alta percentuale. Di fatto, quindi, colui che finanzia l'imposta è il consumatore, ma i danni di un'accisa alta si ripercuotono ovviamente anche sui produttori e sull'intero comparto in generale.
Per quanto riguarda gli alcolici, gli unici prodotti italiani soggetti al pagamento dell'accisa sono l'alcol etilico (che comunque vanta una delle accise più basse d'Europa) e la birra. Il vino e le altre bevande fermentate sono totalmente esenti dal pagamento di qualsivoglia tassa di produzione.
Di fatto, la birra risulta essere l'unica bevanda fermentata - nonché l'unica bevanda da pasto - a pagare accise.
Discriminazione? Direi di sì. Qualcuno potrebbe sentirsi in diritto di difendere il vino, dicendo che l'Italia è il paese vinicolo per (quantità ed) eccellenza ed è quindi giusto che sia fiscalmente privilegiato. Potrei anche essere d'accordo, se ciò non determinasse indirettamente un reiterato appesantimento fiscale nei confronti delle altre bevande concorrenti, in particolare per la birra (che è il maggior competitor del vino come bevanda da pasto a bassa gradazione alcolica). L'anomalia tutta italiana è facilmente visibile. Persino la Francia, che rappresenta il nostro più storico e stimato avversario, incassa delle accise sulla produzione del vino e questo permette di conseguenza di tenere più basse quelle sulla birra e sugli altri prodotti alcolici. Quello che ci si auspica è che anche in Italia si ottenga un minimo di equità.
Il punto più importante, però, non è tanto l'eterna rivalità vino-birra né tanto meno il pagamento delle accise in sé. Ciò che ha gettato nel panico i birrifici artigianali è stato il repentino aumento dell'imposta: negli ultimi 2 anni l'accisa sulla birra è stata aumentata in maniera indiscriminata, passando da 2,35 €/hl/°P (settembre 2013) a 3,04 €/hl/°P (1°gennaio 2015) ...>>>